Dall'ispirazione scaturita dalla mostra del grande scultore Jago, sono nate queste foto nel contesto del mio progetto "Like a Painting". Ho voluto provare a raccontare questa triste tematica perché sono convinto ci sia la necessità di dare visibilità a una problematica che non può più rimanere in ombra. Ph: ValerioDema FotografoAttori: Ginevra CecereMua: Federica Barbara
Questa è una delle storie che mi sono state raccontante, Ludovica (nome di fantasia) mi ha concesso di diffondere la sua storia accompagnandola ad uno dei miei scatti. La ringrazio della fiducia che mi ha dato. Ero al primo anno di università quando incontrai questo ragazzo molto carino e apparentemente gentile. Dopo un primo appuntamento piacevole alla villa comunale, ne seguì un secondo in un bar del centro. Dopo un paio di drink e molte risate, gli dissi che dovevo andare perché il giorno dopo avevo lezioni. Salimmo in macchina e dopo un po' mi resi conto che non mi stava portando a casa. Quando gli chiesi quale strada stesse prendendo, disse che voleva fermarsi in un posto panoramico prima di accompagnarmi. Ci fermammo lì, rimanendo in macchina, e dopo qualche chiacchiera banale, iniziò a provare a baciarmi in modo insistente e viscido, cercando di mettere le mani in posti scomodi. A quel punto, gli chiesi nuovamente di accompagnarmi a casa perché non mi sentivo a mio agio. Lui rispose che se volevo essere accompagnata a casa, dovevo "pagare il pegno": in quel momento si sbottonò i pantaloni e mi mostro il ca**o. Spaventata, scesi dall'auto e iniziai a camminare rapidamente mentre scrivevo nella chat di gruppo delle amiche. Lui mi seguì con la macchina, insistendo affinché risalissi con un tono aggressivo.Fortunatamente, raggiunsi un luogo affollato e lui se ne andò. Presi un taxi e tornai a casa, terrorizzata. Quel pezzo di merda alla fine iniziò a diffondere voci su di me, definendomi una gatta morta che prima la mostravo e poi non la davo. Solo anni dopo si scoprì quanto fosse un pervertito, quando molte altre ragazze lo denunciarono.
Questa è una delle storie che mi sono state raccontante, Ilaria(nome di fantasia) mi ha concesso di diffondere la sua storia accompagnandola ad uno dei miei scatti. La ringrazio della fiducia che mi ha dato. Fin da quando ero piccola, mio padre aveva esercitato un controllo oppressivo su di me. Ogni movimento, ogni decisione doveva essere conforme ai suoi desideri e alle sue regole rigide. Era come se avesse paura di perdermi, ma non era un amore sano. Era possessività, era controllo. All’inizio, pensavo che fosse solo preoccupazione paterna e accettavo le sue restrizioni senza fiatare. Ma col passare degli anni, quel controllo si era trasformato in un’ossessione che soffocava la mia libertà e la mia individualità. Quasi a 30 anni non potevo conoscere ragazzi, a malapena mi faceva uscire di casa e se uscivo per fare la spesa dovevo aggiornarlo ogni mezz’ora e mandargli la posizione. Era come se fossi prigioniera nella mia stessa vita, sempre sotto il suo sguardo scrutatore.Sono arrivata al punto che avevo deciso di scappare da una mia amica a Milano perché non ce la facevo più.È riuscito a trovarmi alla stazione prima che salissi sul treno, mi ha tirato un ceffone e mi ha riportato a casa. Alla fine grazie al sostegno di amici sono riuscita a denunciarlo ed allorantanarlo dalla mia vita.Lentamente, ho iniziato a costruire una vita indipendente, lontana dall’ombra minacciosa di mio padre. Ho trovato un lavoro che mi piaceva, ho fatto nuove amicizie e ho imparato ad amare me stessa. È stata una strada difficile e piena di ostacoli, ma ogni passo mi ha portato più vicino alla libertà.
“Turetta viene spesso definito come mostro, invece mostro non è. Un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c’è. I «mostri» non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro. La cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcalling. Ogni uomo viene privilegiato da questa cultura.Viene spesso detto «non tutti gli uomini». Tutti gli uomini no, ma sono sempre uomini. Nessun uomo è buono se non fa nulla per smantellare la società che li privilegia tanto. È responsabilità degli uomini in questa società patriarcale dato il loro privilegio e il loro potere, educare e richiamare amici e colleghi non appena sentano il minimo accenno di violenza sessista. Ditelo a quell’amico che controlla la propria ragazza, ditelo a quel collega che fa catcalling alle passanti, rendetevi ostili a comportamenti del genere accettati dalla società, che non sono altro che il preludio del femminicidio. Il femminicidio è un omicidio di Stato, perché lo Stato non ci tutela, perché non ci protegge. Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere. Serve un’educazione sessuale e affettiva capillare, serve insegnare che l’ amore non è possesso. Bisogna finanziare i centri antiviolenza e bisogna dare la possibilità di chiedere aiuto a chi ne ha bisogno. Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto.”- E. Cecchettin
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